“HOMO MURGENSIS”
Mostra fotografica di Gigi Cappabianca
La fotografia, come un libro racconta. E basta qualche scatto, come pagine da leggere, che ha inizio il racconto: “Homo Murgensis” .
Se c’è una Terra dove l’incanto e la bellezza, avvolgono lo sguardo di chi la osserva, questa è la Puglia. Essa come una donna e madre, accompagna ed accoglie l’uomo nelle sue meraviglie. E’ una Terra carismatica, i piedi lo sentono e lo sguardo s’inebria.
Come la pelle che riveste un corpo, il terreno è particolare. Particolarità, che la contraddistingue e la rende unica. Il nome Murgia deriva dalla parola latina Murex, che significa roccia aguzza. Si estende dall’Ofanto al Salento in tutta la sua maestosità, ma c’è molto di più e il respiro lo percepisce…
…Devozione e sacralità. Come una donna che nella sua semplicità, sa donarsi senza aspettarsi nulla in cambio. Lei è là, che non chiede e ne pretende. Infatti, è una terra inabitata, se non qualche masseria sparsa qua e là, come nei che non imbruttiscono, ma impreziosiscono e valorizzano ciò che già c’è. I nei nelle foto sono bianchi con tetti marroni. Nel colore spento, cupo e sporco, c’è il trascorrere del tempo di generazioni che si sono susseguite all’interno di quei posti. Bravo l’occhio fotografico, che ha saputo catturarlo in uno scatto. Non statico e ne fermo, ma in movimento. Non c’è sfruttamento se non una flora spontanea. Dovuta anche all’erosione carsica, che ricorda i “Canyon americani”, con pareti ripide ed una falda acquifera troppo profonda, tipica della zona delle gravine.
…E’ sacra, perché la sua essenzialità, è forza ed energia per ogni essere vivente. Questa forza vitale l’animale la sente ancora. Legame ben vivo nei cavalli e nelle pecore intente al pascolo. L’uomo, invece, vuoi per la modernizzazione vuoi per la fretta, la subisce senza accorgersene. Tranne per alcuni, come il pastore, che conserva ancora la pazienza dell’attesa e l’ascolto, verso ciò che lo circonda.
La Murgia nella sua immensità sembra, che sia lì a meditare e a pregare come una Santona. Nella sua compostezza di natura si fa Cattedrale, che nell’accoglienza rassicura e ristora chi la vive anche solo per un momento. Uomini, come devoti di quel posto, coltivano cereali ed ortaggi. Nel loro dedicarsi c’è cura e pazienza. Una fede profonda, dove ogni gesto diventa preghiera. E lo sanno bene i tre contadini sulla sinistra con alla destra e alle spalle vigne prossime alla vendemmia. La presenza della vigna infatti, sottolinea l’amore dell’uomo verso il prossimo e la natura. Dove la preziosità la si raggiunge, con la qualità e non la quantità. Dove dai piccoli gesti, si giunge alla sapienza e all’illuminazione. Dove nella cura di una vigna e nella crescita di un grappolo d’uva, si crea comunicazione con Dio. (Vedi foto 1)
Foto n.1
Il ricordo dei quadri di Van Gogh è stato naturale nell’osservare quelle foto. Non solo per i soggetti, i colori e il gioco di prospettiva, ma soprattutto perché in quelle foto, in modo particolare, c’è l’anima dell’artista.
La foto ora si fa diario di una vita semplice ed umile, dedita alla terra che è nutrimento per il corpo, ma purificazione per la mente. E chi conosce Gigi non può non riscontrare tutto questo. Anche nella quiete silenziosa del pastore, che riposa seduto con le spalle all’enorme covone di paglia. (Vedi foto n. 2)
Foto n.2
L’azione per Gigi, come nel pastore, ha inizio nel silenzio e nella pacatezza, che accompagnerà poi il suo fare. Perché, la parola è solo un punto che conclude, come in una frase.
E se lo sguardo del pastore va dritto alle sue pecore. Lo sguardo di Gigi va dritto al suo destino. Dritto ed alto, conserva la fierezza di chi sa dove vuole andare.
Ferma ad osservare, come la pagina di un libro, quella foto che ben sa raccontare, vuoi per la sua prospettiva, vuoi per i suoi colori e la sua luce, ciò che in passato è stato quel determinato posto e come un tuffo nel passato, in quella terra di transumanza dove pastori e cacciatori, si destavano dalla stanchezza dei tanti chilometri percorsi. (Vedi foto 3 - 4)
Foto n.3
Foto n.4
La pietra dello jazzo con i suoi corridoi, sembra sia ancora impregnata di respiri stanchi di uomini, che con i loro animali condividevano una vita di stenti, ma ricca di speranze e sogni. Sogni e speranze che si liberavano nel cielo, che diveniva coperta e tetto per dormire. Mentre, la stanchezza del corpo e dei passi era consegnata al terreno, che durante il riposo faceva da materasso, in cambio di nuova energia per l’indomani, verso un nuovo cammino.
Quel grigio scuro, chiaro, poi bianco e a tratti nero dello jazzo, fa da contrasto alla terra di Siena e ai bruni del terreno, verde scuro, a tratti smeraldo e vescica, dell’erba incolta e spontanea. Ad addolcire il tutto, un tramonto insolito dai colori blu indaco, blu di Prussia e a tratti violetto. Nuvole bianche e grigio payne rompono quella quiete, come lo squarcio su tela bianca di Lucio Fontana.
Riprendo il racconto e, come girare pagina, passo ad un’altra foto: la lana stesa ad asciugare dopo essere stata lavata da un uomo. Forse sarà magia, ma sul viso di quel uomo, ci sono solo rughe di anni che pian piano si susseguono. Niente stanchezza, fatica e monotonia. Solo pelle abbronzata, come se il sole con i suoi raggi, avesse benedetto quell’uomo, per l’impegno e la purezza con la quale, si approccia al suo lavoro e ai i suoi animali.
Bello, come la foto riesce a farti sentire il vento, che asciuga la lana stesa. (Vedi foto n. 5) Il suo svolazzare ricorda i Lung-Ta. Bandiere di Preghiera tibetane appese ai valichi di montagna e per tutto l’Himalaya. Il vento ha il compito di trasportare nell’aria, le benefiche vibrazioni che scaturiscono dalle preghiere contenute al loro interno. E sicuramente, anche la lana appesa nelle campagne della Murgia, vibra di preghiere di prosperità, pace, amore e felicità.
Foto n.5
Continuo a leggere e quindi ad osservare le foto: una masseria immersa nel verde scuro e marrone della Murgia. Il cielo sereno avvolge con delicatezza quel paesaggio allo stato primordiale. Ma c’è qualcosa che irrompe sulla destra: un camion. Uno schiaffo, che mi sveglia da un sogno. Si, perché la Murgia, seppur conservando per gran parte della sua estensione il suo stato primordiale, ha subito la forza pesante dei mezzi, che si traduce in progresso, come le cave di marmo e lo spietramento.
La Murgia è un contrasto tra passato e presente. Tra ciò che è stato e ciò che è. E se ti fermi un attimo, ad osservare la foto con la mietitrebbia in primo piano e i pannelli solari in secondo piano, è naturale pensare ciò. Poi, è inevitabile chiedersi: “ma cosa avverrà in futuro?”.
E forse, il futuro è negli uomini che hanno ancora la capacità di ascoltare lo “Spirito del Luogo” di un determinato posto: “Homo Murgensis”. Non indiani e ne sciamani, ma uomini che nei loro occhi conservano pigmenti dediti alla meraviglia. Uomini che non hanno mai tagliato il cordone ombelicale dalla loro Madre Terra. Come quei ciclisti fermi, mentre il vento accarezza il viso sudato dalla fatica, il sole con il suo calore fa da spinta ad ogni scatto di pedalata, il terreno massaggia i piedi stanchi dalle innumerevoli pedalate, i profumi e gli odori che temprano e restituiscono energia per una nuova partenza.
Oltre ad occhi con pigmenti dediti alla meraviglia, nelle mani ci Gigi c’è la gratitudine di chi sa celebrare la bellezza della vita in tutte le sue forme e in ogni suo tempo. E lo percepisci subito quando osservi quella foto con l’aratro abbandonato in un campo di grano. (Vedi foto n. 6)
Foto n.6
Qui, il campo con il suo color oro, sembra farsi tappeto, sotto quell’aratro dal rosso, marrone, arancione e a puntini neri. Ruggine, che segna il tempo che è passato. Ma la bellezza va oltre il tempo, la forma, i colori e la perfezione. La bellezza è energia. E quando c’è, essa arriva e tu devi solo, lasciarla fluire.
Grazie Gigi, perché nell’umidità di un freddo gennaio, ho percepito la mitezza di un autunno e il tepore di una primavera, di un viaggio che seppur passato, ha saputo raccontarsi ancora, anche in questo presente.