“NIDO”
Mostra artistica di Michele Vino
C’è un Proverbio Zen che dice: “Centinaia di fiori in primavera, la luna in autunno, la brezza fresca d'estate, la neve in inverno. Se non occupi la tua mente in inutili cose, ogni stagione è per te una buona stagione”.
Seduta sul divano in posizione fetale, una coperta in lana morbida scende sulle mie gambe e sui miei piedi. Mentre dal camino un delicato calore mi avvolge, mi riscalda e mi accarezza anche il viso. La luce soffusa del fuoco, mi accoglie in un dolce cullare. Una ninna nanna silenziosa, che dona quiete al mio animo, rassicurato anche dal tepore di un abbraccio fatto di pietre antiche. La stanza diviene madre protettiva dal rigido e gelido freddo. Fuori della finestra, fiocchi di neve bianca, cadono dal cielo serale di un “insolito” inverno.
M’inebrio del profumo di pace, così dolce e delicato. Respiro.
Pian piano esco dalla stanza.
Ho freddo.
Mi giro.
Apro gli occhi e…
Dinanzi a me, una sedia in legno marrone, semplice. La tipica sedia da cucina delle nostre nonne. Ai piedi della stessa dei rametti di ulivo. I due oggetti sono all’interno di un rettangolo, ricavato da un nastro adesivo nero disposto per terra. La luce bianca del neon, illumina pareti bianche, lisce e spoglie di una stanza anonima. Solo un portone in legno aperto alle mie spalle, dal quale proviene una brezza fresca di un “sorprendente” agosto. (Vedi Foto n. 1 - 2)
Foto n.1
Foto n.2
Mah…Dov’era la coperta in lana? Dov’era il fuoco di un camino? Dov’era la stanza in pietra antica? Dov’erano i fiocchi di neve bianca? Dov’era la finestra? Dov’era tutto quel calore, tutta quella dolcezza, tutta quella delicatezza e tutta quella pace? Dov’era tutto quel profumo?
Un brivido freddo sulla mia pelle. Come svegliarmi da un sogno.
Le risposte però, erano tutte racchiuse in un foglio scuro, appeso alla parete bianca dinanzi agli oggetti. Su di esso era scritto: “Introspezione. Benvenuto hai tre possibili soluzioni: Osservare, Vedere, Guardare. Scegli liberamente. Ricordati durante la tua scelta: Respira”. Michele Vino
Il vento, che entrava dal portone in legno alle mie spalle, soffiando dava forma e sostanza alle parole appena lette. Soffiava sul mio corpo e sul mio vestitino, che nel suo svolazzare era come se volesse sussurarmi qualcosa.
E nel desiderio di ritrovare, il calore vissuto pochi attimi prima, trovo qualcosa di molto di più, che va ben oltre il già vissuto. Tra me e l’opera d’arte, si era creata una sinergia sottile e trasparente, carica d’intensità e forza. Uno scambio tra l’energia dell’uno e l’energia dell’altro, dove alla semplice “percezione visiva”, si mescolava una “percezione sensoriale”.
L’opera d’arte, così, nel suo essere minimale, diviene invito al risveglio delle sensazioni altrui. Qui, c’è compartecipazione e condivisione. Lo spettatore, non solo fruisce dell’opera, ma partecipa al suo “essere”. Un donarsi ed un ricevere incondizionato da entrambe le parti. La stanza, nell’accogliere la sensibilità dello spettatore, le dona il suo vero respiro. Lo spettatore, nel risveglio della sua sensibilità, dona anima a quella stanza.
Ogni cosa ha un’anima. Ogni anima ha una sua voce. Ogni voce ha un suo respiro. E se ti poni in ascolto, tutto ciò lo puoi sentire. La sedia marrone, i rami d’ulivo e il nastro adesivo nero erano come gli alberi spogli e i prati poveri d’inverno. Se posi su di essi gli occhi, ti sembreranno freddi e privi di vita. Se posi su di essi, le mani li sentirai caldi, come il pulsare della vita. Fatta di respiro, voce ed anima.
Lascio Palazzo della Cultura, dove era allestita la Mostra d’Arte Contemporaneamente. La brezza fresca d’agosto, seppur trasformata in vento freddo d’inverno, non congelava minimamente il calore vissuto pochi attimi prima in quel posto. In macchina con l’artista Michele Vino, da Margherita di Savoia prendiamo la strada che porta verso la nostra città Barletta. Un lampo squarcia il cielo come tela. Dio, come Lucio Fontana, si diverte nelle vesti d’artista.
Strada facendo, Michele mi chiede pareri sulla sua opera. Lentamente prendo a raccontare: “Seduta sul divano in…..”. Termino di raccontare e l’artista mi dice: “Sai cosa mi ha detto una bambina qualche giorno fa ? Vedo il fuoco e la sedia di un uomo che non c’è più! E sai una cosa? La sedia, era di mio nonno, che da qualche anno non c’è più”.
Lo sguardo, che ci scambiamo io e l’artista, seppur intenso, non aveva la stessa intensità della sensibilità, avuta dalla bambina dinanzi a quell’opera. Lei, era andata “oltre”. Oltre quell’”oltre”, che ci arrivi solo, se sei dotato di pura profondità d’animo. Pura, perché libera e leggera da ogni peso inutile, che non ti permette di volare. Pura, da toccare l’ancestrale.
Dopo alcuni minuti di rispettoso silenzio, Michele mi dice: “L’opera appena vista è il risultato di un’analisi approfondita di tre opere. Vedere ciò che ci circonda in modo macroscopico, per poi portarlo in uno spazio definito. Permettendo, così, all’osservatore una ricerca interiore. Un’“introspezione” su di sè, nel proprio spazio fisico e mentale. Un invito alla ricerca in una dimensione vera, ma partendo da un “gioco”. Così, chiedo all’artista di poter visionare le sue opere.
Infatti, dopo alcuni giorni, mi ritrovo nella mansarda della sua casa, circondata da una generosa campagna.
Il sole entrava dalle finestre quasi a volerci spiare. Mentre Cartina, il cane, sembrava partecipare con interesse alle nostre conversazioni. Tra cavalletti e tele dai materiali e colori originali e disparati, la mia curiosità si sofferma su tre tele in particolare. Erano le tre opere accennate in macchina da Michele. Così, con un sorriso esaudisce la mia curiosità, prendendo i tre lavori e disponendoli sul cavalletto.
Uno squarcio irrompe nella centralità di un pannello. Squarcio che porta con sé, ciò che è stato in Natura: legno, erba, foglie, rami, nidi e uova di uccello. Elementi non deturpati, ma raccolti nel loro stato di abbandono, come celebrazione della Natura nel suo offrirsi. Il colore circostante, si fa stato d’animo vissuto nella densità di un momento. Nero: morte. Bianco: vita. Verde: nascita. E come in un abbraccio, contiene quanto emerso dallo squarcio. (Vedi Foto n. 3 – 4 – 5)
Foto n.3
Foto n.4
Foto n.5
Non c’è un prima e un dopo. Non c’è un ordine o una sequenza. Ogni pannello è a sé o nell’altro. Tutto è in movimento. Tutto è in relazione. Tutto è in trasformazione. Tutto è in evoluzione. Contrazione ed espansione. E’ questo il principio che muove ogni cosa. E l’uomo come la Natura, segue tale principio, poiché è esso stesso Natura. Principio applicabile, però, solo se ci si pone in “ascolto” con sé stessi e con il mondo circostante. Cogliendo gli aspetti esterni della natura, si esprime la natura interiore di sé stessi. Vera “comunione spirituale”.
Scendiamo dalla mansarda, mentre Cartina il cane e Misha il gattino giocano tra loro, un po’ anche, per attirare la nostra attenzione. Ci sediamo per gustarci un profumato fiorone, offerto da Michele. Quel gustare ben si sposava con l’inebriarci di un naturale pot-pourri, fatto di alberi d’ulivo, vigneti, girasoli e altre piante, che la natura dona con devozione all’uomo. Era bello respirare quel dono. Dono del quale Michele, ne respira ogni giorno. E le sue opere sono intrise di quel respiro.
Goethe diceva: “La natura è la veste vivente della divinità”. E la veste vivente della natura qual è? Le stagioni, che nel loro perpetuo rinnovarsi, donano luce all’anima di chi amorevolmente le indossa. E così, l’uomo si veste d’inverno, di primavera, d’estate e d’autunno. E poi, ancora inverno, primavera, estate ed autunno. Un susseguirsi libero, perché anche l’anima, vive le sue stagioni.
E così, l’anima oltrepassa il nastro adesivo nero, si siede sulla sedia marrone e con i rami d’ulivo ai suoi piedi vive il suo inverno. Il momento del ripiegamento interiore. Il momento di contrazione. Il momento del custodire e del proteggere. L’abbraccio con il suo calore interiore. E non c’è seme, albero spoglio e prato povero, che riposi nutrito e protetto dal calore della terra. E nella sua intimità non abbia cuore, che pulsi per nascere in un’altra stagione.
Il cuore pulsa nell’anima di un seme, che tenacemente irrompe dalla terra e alla luce del sole si veste di foglie, fiori e celebra la sua nascita. La primavera, con indosso la sua gentile armatura verde, esprime la sua forza e il suo impulso. E’ espansione ed apertura, dopo il riposo invernale. Verde è il colore del cuore, che nel suo pulsare, si apre alla vita.
Aprirsi alla vita è spogliarsi dalla gentile armatura e vestirsi di leggerezza: bianco. E’ cambiamento, trasformazione, metamorfosi e rinascita, che avviene nel nutrimento e nel calore dell’energia. E’ espansione ed accoglienza: è l’estate.
Poi, la vita si sveste dal bianco ed indossa il nero, poiché nella sua morte apparente, l’autunno è una perfetta bilancia, che toglie là dove è superfluo e mette là dove è essenziale.
La natura è feto, nido, casa e quinta teatrale, dove Dio fa delle stagioni, profumate e colorate armonie, mentre l’uomo a passo di danza, volteggia alla vita sulle note delle “stagioni dell’anima”.