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"DEEP SEA"

Mostra Fotografica di Frank Luis

“Il giorno in cui amerai, conoscerai e rispetterai te stessa, scoprirai che la terra comunica con te, che la Pachamama possiede un linguaggio attraverso il quale le montagne ti parlano, i fiumi ti mormorano e le sorgenti ti consigliano. Allora saprai che sei un Tutt'Uno con l'Universo, che sei come l’acqua che si espande”.

(Hernàn Huarache Mamani)



Confesso, di aver cercato qualcosa di poetico o ad effetto perché potesse chiamarsi “inizio”. Ma niente da chiamarsi così… sono andata indietro con i ricordi, ho richiamato alla mente sensazioni e ho frugato nel tentativo invano di trovare una parola anche una sola, che mi riconducesse “a quel punto”, chiamato inizio. Ma si rivelava essere nient’altro che punto. Si, punto! Come lo s’intende nel suo significato grammaticale: il punto è uno tra i segni della punteggiatura. Si colloca a conclusione di una frase, come interruzione di un discorso.


Eppure, ci doveva essere qualcosa, mi dicevo. Allora, ostinata come non mai, mi sono seduta “a due passi da quel posto”, perché potesse darmi un inizio, “un’idea” anche minima, ma che fosse inizio. Così, ho “respirato” il suo odore in tutta la sua intensità, ho “toccato” ogni sua parte sfiorandola, accarezzandola e scavandola quasi come fosse pelle, ho “guardato” in ogni suo angolo come spazio che potesse contenermi, ho “assaporato” quel po’ che per la lingua potesse essere gusto e ho “ascoltato” ogni suono prodotto da ogni suo movimento. Niente, niente e niente! Sicuramente, più confusa e più persa di prima. Che fare? Sospiro, “chiudo gli occhi e… Basta!!!”.


Tonante “la voce del silenzio” nella mia mente. La sua “potenza” è subito lasciare andare per me. Non mollare o arrendersi. Alzare le mani, sì. Ma semplicemente, “lasciare che ogni cosa segua il suo corso”, che si muova liberamente senza il mio intervento che sa di attaccamento, così la direzione del suo movimento si mostri a me. Si, lasciare che ogni cosa accada da sé, come la s’intende nella cultura orientale. Ora, ero io a mettere un punto!


Quel punto, come indice conficcato nella sabbia, apriva inaspettatamente una voragine dentro me e nella mia mente tutto era più chiaro. Attraversata da una strana sensazione e da un’incomprensibile magnetismo, mi sentivo portare lì. Lì, difronte a quelle fotografie che nel loro essere così cariche di forza trascinante, mi davano quel non so che di pace. A quel mio e loro contatto, è fulmineo inizio.


Qui, all’aprire dei miei occhi dinanzi alla prima fotografia, varcavo la porta di un mondo prima d’ora conosciuto solo nel suono del suo pronunciarsi in parola: “fondale marino”. Già, io ero lì, nelle profondità del mare. Io ero dentro la sua parte interiore e dentro la sua intimità più ignota. Dentro! Si, dentro la pancia del mare. Dentro le viscere del mare. Dentro il cuore del mare. Dentro, io…


Avvolto il mio corpo dalle sue sconfinate acque, come foulard che si posa morbido e leggero intorno al collo, proseguivo il mio cammino nell'osservare ogni fotografia. Ma non era semplice osservare. Era molto di più: vivere. Vivevo il movimento del mare, che per me che non so nuotare pericolo non era. Anzi! Quel movimento era il mio movimento. Mia forza e mie ossa al tempo stesso man mano mi inoltravo in quel mistero tutto da scoprire, alzando un braccio quasi a voler spostare una tenda immaginaria, che simpaticamente nascondeva un gioco di luce crescente ed iridescente, pronta ad accogliere me piccola creatura irriverente e sfacciata, che anziché strizzare gli occhi ad essa per la sua maestosità, ne era completamente affascinata ed attratta.


Quasi fosse volto mostratosi a me, rispondo ad essa con un caldo sorriso. Poi, i suoi raggi conducono l’attenzione del mio sguardo verso il basso. Giù, fino ai miei piedi ancor più piccoli su quel suolo, che nella vastità del suo essere si rivelava a me in tutta la sua veridicità con i suoi solchi, le sue crepe, i suoi spacchi e altro ancora, come pliche cutanee su di una mano di donna anziana. M’inginocchio, avvicino la mia mano a lei donna di sabbia plasmata, quasi a presentarmi e a ringraziarla per aver accolto la mia presenza in essa. Sfioro delicatamente la sabbia e mi sfiora alla mente il ricordo della mano rugosa di mia nonna. Quando io bambina curiosa giocavo con la sua pelle a creare montagne, che per la sua non più elasticità scomparivano nella lentezza del tempo. Padre Tempo! Prendo un pugnetto di sabbia come a voler catturare quel tempo tra le mani, ma mi rendo conto che per quanto io possa trattenerlo, lui andrà sempre via…


La mia mano che si apriva era il riflesso di quel pensiero. Allargo le dita e lascio che ogni più piccolo granello di sabbia scivoli via. Ora, poso la mia mano nuda sul suolo e sento il suo tepore su di me. Quasi fosse una carezza per me. Che meraviglia, mi dico. Poi, alzo lo sguardo e qualcosa in lontananza mi chiama con voce afona. Il mio nome le orecchie non sentono, ma qualcosa in me l’han pur sentito. Che fare? Abbasso lo sguardo in cerca di una risposta magari scritta sulla sabbia, ma vedo solo un suolo fatto per essere percorso. Così, alzo nuovamente lo sguardo e scelgo di seguire quel richiamo. “Ascolto e mi ascolto”. Mi alzo e riprendo a camminare.


Ahimè! Il cammino ora si fa più difficile. Le mie gambe sentono la fatica di un nuovo terreno che i miei piedi stanno percorrendo, adattandosi a quel suo essere sempre più increspato e frastagliato. Proseguo, a volte in bilico e a volte alla ricerca di un mio equilibrio. Un po’ derisa sempre più da quel terreno, che si presenta anche con tutte le sue insenature. Non demordo e sfrutto la sinuosità del mio corpo, per attraversarle una ad una. Mi muovo come una vera contorsionista, ma lì se mai fossi rimasta incastrata, non ci sarebbe stato nessuno a liberarmi. Ero io a doverlo fare. Ero io sola con me stessa. Non mi è nemica Madre Natura, mi ripetevo. E proseguivo nella concentrazione di ogni mia azione. Fuori da tutto, mi sentivo finalmente sollevata e libera. Solo per poco…


Dinanzi a me, dune come deserto attendevano il mio arrivo. Sospiro sfiduciata, mentre mi lascio cadere sulle gambe sconfitta da quelle distese a me nemiche. Ero stanca, stanca! Mi siedo, per modo di dire comodamente, portando le mani sul mio viso che accentuavano il mio respiro spezzato. Lascio cadere le braccia giù, portando la testa indietro e guardando in alto cercando un segno, uno spiraglio di luce che potesse offrirmi un aiuto. Poi, abbasso la testa e con essa lo sguardo, allungo la gamba e con la punta del mio piede a mò di compasso disegno un semi cerchio. Non so, perché… Piccoli esseri marini emergono dal fondale. Che strani! Incuriosita, li raccolgo con una mano. Li osservo in tutta la diversità dei loro colori e delle loro forme. Ora, familiari alla mia conoscenza: crostacei e granchi. Avvicino il mio dito ad uno di esso, un po’ impaurita perché potesse pizzicarmi. Ahi, che male! Ma male non è?!


Stranita, osservo il dito. Poi, lo porto in bocca a voler assaggiare il sapore di quel pizzicore, proprio come una bambina che ha appena rubato la marmellata. Di asprezza e dolcezza non sapeva, ma d’energia in me sapevo sentire e tanta… “Qualcosa dentro di me aveva trasformato”. Rivolgo un sorriso a quei piccoli esserini, mentre ancora sulla mia mano li guardo con occhi amichevoli. Poi, li poso giù sul terreno, seguendo con lo sguardo il loro muoversi zampettando un po’ di qua ed un po’ di là. Ora, comprendo: loro erano la risposta, lo spiraglio di luce, il segno e l’aiuto che cercavo. “Tutto, pian piano trovava un senso”. Così, grata per quell’incontro, mi alzo e riprendo il mio cammino.


Quanto mancava alla fine, poco o tanto, ormai non importava. Più proseguivo e più mi rendevo conto, che tutto si decideva al momento. Fin lì, la lezione da apprendere era: “Padre Tempo decide, Madre Natura offre, l’Uomo accoglie”. A testa bassa i miei passi proseguivano, ma ad animo alto il mio cuore camminava. Si, la testa bassa era solo per facilitare i piedi a trovare una maggiore aderenza nel terreno, mentre l’animo alto era la riconoscenza del mio cuore a tutto ciò che aveva vissuto e che attendeva ancora di essere vissuto, anche se nell’incertezza.


All’improvviso, sento l’esigenza di fermarmi. Seppur tutto intorno a me era sempre più arioso, un senso di claustrofobia mi assale. Solo il suono del mio respiro riempie quello spazio immenso, magicamente trasformato in strumento musicale al vibrare di quel respiro. Stonata la sua musica, così priva di tempo! Mi siedo. Provo a respirare con calma, molta calma. Qualcosa intorno a me stava cambiando, come se da qualche parte provenisse un rumore, ma non era proprio rumore. Forse, un tonfo, ma no, no. Ecco, cos’era! Un battito. Si, un battito. Oh, “io ero nel cuore del fondale marino”. Quello era il suo battito ed io potevo sentirlo. Una lacrima di commozione bagna il mio viso. Qui, il suo battito come diapason accordava il mio respiro ed il mio respiro vibrava di musicalità il suo battito. Ora, “noi all’unisono e parte di un Tutt’Uno”.


Mi alzo e mi giro per guardare alle mie spalle il cammino fatto fino ad ora. Quel che lasciavo era solo terreno e percorso fatto dai miei piedi, ma ciò che avevo acquisito era una nuova consapevolezza che permeava la mia anima. Un sorriso di gratitudine è il mio saluto a quel fondale marino, che nel suo accogliermi aveva fatto di me sua creatura marina, per scrutarne ogni più piccolo segreto. Risalgo dalle sue acque con “anima vestita di cristallino e dalla tessitura della stessa forza dell’acqua”. Qui, benedetta a nuova donna, ora che “sapevo essere una parte di essa ed essa di me”.


“Come la Natura dal profondo del mare porta in riva, quindi alla luce, parti del suo essere come crostacei e conchiglie, il progetto fotografico Deep Sea è un invito ad accogliere parti di noi emersi dall’abisso del proprio inconscio. Riconoscendoli, integreremo la nostra essenza e la nostra unicità. Sono parti di vita nascoste sul fondale, che aspettano di raccontare la loro storia e la loro visione di un mondo sopito al rumore. Dal suo profondo emergono emozioni, pensieri, che come tarli irrompono nelle nostre giornate, mentre la paura le relega negli abissi più profondi. E se fossero crostacei guardinghi, lì pronti ad indicarci la via? Le fotografie ricordano che ciò è possibile”. Queste le parole dall’artista Frank Luis.


“Deep Sea” è molto di più di un semplice progetto fotografico. E’ uno scatto alla nostra “coscienza”, che si mostra a noi in tutta la sua forza creatrice e rivelatrice, attraverso un viaggio di scoperta e riscoperta verso noi stessi e la Natura che ci accoglie come parti di un Tutt’Uno. Ogni soggetto ritratto si rivela essere un pezzo della nostra anima. Cosicché, la fotografia con il suo soggetto come indizio ritrovato è sussurro di un “messaggio”, ma soprattutto punto d’incontro verso il mondo circostante e noi stessi. Ogni elemento marino seppur piccolo ed impercettibile è “ciò che siamo e ciò che potremmo essere”. E’ il riflesso del “nostro essere in divenire”.

Ogni fotografia ha una sua forza segreta, che si lascia svelare solo a chi ha un cuore pronto ad ascoltare. Ed è qui, che risiede la sua forza: segreto e confessione nel preciso istante in cui la si visiona. Resa ancora più suggestiva da ogni colore che avvolge ogni forma, così da trasformare la visione in vissuto. Sì, perché ogni colore presente nelle varie fotografie è lo “stato d’animo”, che attraversa lo spettatore nel riconoscere una propria “sfumatura d’anima”. Anima, alla quale, l’uomo spesso dà scarsa importanza. Eppure essa stessa è la parte più vera di noi. E’ il posto del “ritrovarsi”. E’ il posto dove risiede la nostra “voce”. E’ il posto dove risiedono le “risposte” alle nostre domande. E’ il posto dove risiedono i nostri “sogni”. E’ il posto dove risiede la nostra “Essenza”.


Dalla notte dei tempi il mare viene associato all’inconscio. A qualcosa di misterioso da esplorare e conoscere, poiché genera e rigenera la nostra coscienza. Infatti, l’acqua del mare è liquido, ma contiene in sé piccole particelle che fanno da cibo a milioni e milioni di pesci, che vivono nel fondale ed inconsciamente si nutrono. Così, come avviene per un bambino che nel grembo della propria madre avvolto dal liquido amniotico, ingerisce piccole parti di non so che, ma che gli permettono di poter crescere.


L’acqua è la sorgente della vita. Grazie ad essa nasce il nostro Pianeta. L’acqua nel suo essere primordiale è ricollegabile al liquido amniotico, che avvolge il bambino presente nel grembo materno. Così, l’acqua è simbolo di nascita, ma non solo… L’acqua è simbolo di trasformazione. Essa ha la capacità di resistere a cambiamenti di temperatura, che le consentono di passare dallo stato fluido a solido. Fino ad adattare il suo corpo in ciò che la contiene, l’attraversa e la incontra durante il suo cammino. L’acqua è simbolo di perseveranza, forza e libertà. Essa a furia di battere contro uno scoglio riesce a modellarlo. Può passare ovunque e niente e nessuno può fermarla. L’acqua è suono. Il suo fluire, scrosciare, zampillare e cadere generano musicalità. Capacità che porta l’acqua ad avere un effetto calmante. Il nostro corpo a contatto con essa si rilassa così intensamente da far rilassare anche la nostra mente. E ciò favorisce un ascolto maggiore delle nostre emozioni e sensazioni, poiché esiste una comunicazione profonda tra le parti del nostro corpo e le parti contenute nell’acqua. E’ come se si creasse una congiunzione perfetta tra materia e spirito.


L’acqua è simbolo dell’amore. L’acqua genera la vita e la vita nasce dall’amore. L’acqua abbraccia come l’amore. L’acqua è l’anima del mondo. Simbolo del principio vitale, che penetra e vive in ogni forma della natura. L’acqua contiene in sé l’arte del lasciare andare, poiché essa fluisce e scorre come il tempo e come la vita. Ed il lasciare andare è un atto di potere superiore, che ne fanno di essa pura magia.

Tuffarsi nelle “profondità della nostra coscienza” è un atto di “coraggio” verso l’ignoto, l’inesplorato e il misterioso, ma al tempo stesso è un atto di “forza” che porta a far emergere quella consapevolezza tale, che “in ognuno di noi c’è molto di più di quanto pensa”. Coraggio e forza come miscela perfetta, che dona leggerezza a quel pensiero, fino a trasformarlo in “luce” che illumina se stessi e il proprio cammino di vita.


La “Natura” ha in sé tutto ciò che noi “possiamo essere”. Accostandoci ad essa con “semplicità” apprenderemo “l’arte di vivere”.


Tutto ciò è possibile poter vivere grazie all’incanto di “Deep Sea”. Fotografie e video in mostra presso le sale del Palazzo Gesundheit in Erster Linie – Kiebachgasse n. 3 - Seilergasse n. 6 ad Innsbruck in Austria fino al 30 giugno 2017.


Uscendo dal palazzo dove c’è l’esposizione di “Deep Sea” riprendo fiato ed è subito, “il mio primo respiro”. Il mio primo respiro di donna che risale dalle acque dopo un “viaggio di scoperta” nel fondale marino. E se è vero, che il nostro corpo ha una memoria, allora il mio corpo in quel momento attraversato dalla pelle d’oca e da un brivido lungo la schiena, mi ricorda il mio primo respiro di neonata “venuta al mondo” dopo mesi di gestazione. Anche la profondità del mare è fonte di vita come il grembo di una donna. Fortunata io, per essere ritornata a quel punto, dove tutto ha inizio!


Così, ripenso al significato grammaticale della parola punto o meglio alla seconda parte del suo significato, da me non considerato ma di grande importanza: “Esso consiste in una singola traccia d’inchiostro su di un foglio di carta. Il punto è il più forte tra i segni della punteggiatura. Nella lettura esso corrisponde alla più lunga pausa esistente. Dopo il punto si usa sempre l’iniziale maiuscola”.


Sorrido! A volte un punto segna sì, l’inizio di un qualcosa…


Un raggio di sole riscalda quel mio “pensiero”. Alzo lo sguardo, mentre una “lacrima” scende sul mio viso, fino agli angoli delle mie labbra. Sento il suo sapore, che “sa di sale come l’acqua del mare”.





"DEEP SEA" - Frank Luis

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